Il quando rimane un concetto particolarmente ostico per gran parte della popolazione, inclusa la fetta che gode di ampia visibilità mediatica.
Spesso assistiamo a dibattiti tragicomici, innescati da qualche talk show televisivo e amplificati dai social media (o viceversa), dove la confusione regna sovrana, accompagnata dall’impreparazione dei partecipanti.
In questi casi, dobbiamo ricordare che la libertà d’espressione, un principio fondamentale e a tutti noi tanto caro, non può essere utilizzata come scusa per tollerare l’affermazione di concetti profondamente sbagliati. È cruciale distinguere tra fatti e opinioni. Non si tratta di limitare il dibattito, ma di elevare il livello di discussione attraverso la corretta comprensione e presentazione dei dati.
Un esempio lampante è dato da chi, a sostegno delle proprie “tesi”, utilizza numeri reali ma li confronta in modo scorretto, approfittando del fatto che molti ascoltatori non sono in grado di individuare tali incongruenze. Questa manipolazione, purtroppo, è frequente e sfrutta l’alfabetizzazione numerica insufficiente di una larga fetta della popolazione.
Prendiamo, ad esempio, il dibattito che si è svolto durante la pandemia di Covid-19 riguardo al numero di persone ricoverate in terapia intensiva. Alcuni esponenti del movimento no-vax sostenevano che “non conveniva vaccinarsi” poiché un numero maggiore di vaccinati rispetto ai non vaccinati finiva in terapia intensiva. Tuttavia, questa affermazione ignora completamente il contesto numerico più ampio: la popolazione vaccinata era enormemente più grande rispetto a quella non vaccinata, e quindi il dato grezzo era fuorviante. Il confronto corretto avrebbe dovuto tener conto del tasso di ricoveri, normalizzato rispetto alla popolazione di riferimento, come ad esempio ogni 100.000 abitanti. Solo in questo modo si può comprendere se un gruppo è proporzionalmente più colpito di un altro.
In questo caso, confidando nella buona fede di chi sosteneva tali tesi e ipotizzando che fossero consapevoli del concetto di divisione matematica, l’errore risiedeva nell’incapacità di applicare correttamente tali concetti quando necessario. La difficoltà non è solo tecnica, ma anche culturale: la capacità di interpretare i dati in modo corretto e critico non dovrebbe essere appannaggio esclusivo dei laureati in discipline economiche e scientifiche, ma una competenza di base per tutti i cittadini.
Questo ci porta a riflettere su cosa dovrebbe insegnare la scuola, oltre al semplice come apprendere. Dovrebbe insegnare a riconoscere quando è importante applicare determinati concetti e metodi. L’alfabetizzazione numerica, ovvero la capacità di comprendere e analizzare dati e numeri in contesti quotidiani, è ormai una competenza imprescindibile in una società evoluta. La scuola dovrebbe formare cittadini in grado di ragionare con i numeri, di interpretare i dati e di prendere decisioni informate, basandosi su analisi coerenti e rigorose.
Nell’era dell’informazione, dove dati e statistiche vengono costantemente utilizzati per influenzare l’opinione pubblica, la capacità di discernere informazioni accurate da quelle manipolate è cruciale. Senza una solida formazione in queste competenze, il rischio è che la confusione e la disinformazione continuino a prevalere, alimentando falsi miti e argomentazioni prive di fondamento.
La scuola, quindi, non può limitarsi a trasmettere nozioni. Deve sviluppare la capacità critica degli studenti, insegnando loro a porre domande, a contestualizzare i dati e a riflettere sul quando è appropriato applicare determinati strumenti di analisi. Solo così possiamo sperare di avere una cittadinanza attiva e consapevole, capace di partecipare in modo informato al dibattito pubblico.
È necessario, inoltre, che la società nel suo insieme promuova una maggiore consapevolezza sul valore della corretta interpretazione dei dati. Non possiamo permettere che dibattiti pubblici vengano distorti da chi, consapevolmente o meno, fa uso di argomenti fuorvianti e di dati presentati in modo scorretto.
L’informazione corretta, basata su fatti e analisi solide, dovrebbe essere il punto di partenza per ogni discussione significativa. Solo così possiamo sperare di affrontare le grandi sfide della nostra epoca, dalla salute pubblica all’economia, dall’ambiente alla tecnologia, con una comprensione più profonda e un senso di responsabilità collettiva.
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